Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, inumana e degradante ormai superata, abolita de jure (per legge) o de facto (per prassi) da più della metà dei paesi nel mondo. La pena capitale è una violazione dei diritti umani fondamentali, che non può offrire alcun contributo costruttivo agli sforzi della società nella lotta contro il crimine violento ed è priva di effetto deterrente. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti.
Nel 1977, quando Amnesty International partecipò alla Conferenza Internazionale sulla pena di morte a Stoccolma, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, questo numero ha superato quello dei mantenitori.
La tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni ’90 una decisa accelerazione sostenuta dai principali organismi internazionali. A partire dal 1997, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani approva annualmente una risoluzione sulla pena di morte sollecitando tutti gli Stati che ancora la prevedono, a istituire una moratoria sulle esecuzioni, in vista della successiva abolizione. Nel 1994 il Consiglio d’Europa ha stabilito che, per i paesi in cui ancora vige la pena di morte, condizione necessaria per divenire uno Stato membro sia l’istituzione di una moratoria sulle esecuzioni, che preceda una futura abolizione.
Come organizzazione dedicata alla protezione e alla promozione dei diritti umani, Amnesty International si adopera da sempre, attraverso una campagna permanente, per la fine delle esecuzioni e l’abolizione di tale pratica nel mondo. Le attività di Amnesty International a riguardo sono svolte a prescindere dal reato, o dal comportamento sanzionato come reato, e indipendentemente dalla presenza o assenza dell'attenzione momentanea dei media e/o del pubblico sui singoli casi. Le azioni possono riguardare un singolo paese, paesi facenti parte di una determinata area geografica o tematiche particolari che coinvolgono più paesi, come, ad esempio, la pena di morte per i minorenni. Nei paesi mantenitori, Amnesty International svolge un lavoro di pressione sulle autorità e su media locali e internazionali, con lo scopo di sollevare preoccupazione sull'intero processo che riguarda la pena capitale o su casi di singoli condannati a morte. Un altro esempio può essere rappresentato da azioni su paesi abolizionisti al fine di far firmare e/o ratificare i protocolli internazionali che condannano la pena capitale.
Il progresso verso l’abolizione della pena di morte nel mondo
Dal 1990 sono più di 45 i paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i crimini. In Africa, con la Costa d’Avorio e la Liberia, nel continente americano, con il Canada, il Messico e il Paraguay. In Asia e nel Pacifico, con il Bhutan, le Filippine e Samoa. In Europa e nel Caucaso del Sud, con l’Armenia, la Bosnia-Herzegovina, Cipro, la Serbia, il Montenegro e la Turchia.
Reintroduzione della pena capitale
Una volta abolita, la pena di morte è raramente reintrodotta. Dal 1985, più di 55 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge. Oppure, avendola abolita in precedenza solo per i crimini ordinari, hanno provveduto ad eliminarla per tutti i crimini. Durante lo stesso periodo, soltanto quattro paesi abolizionisti hanno reintrodotto la pena capitale: il Nepal e le Filippine (che l’hanno poi nuovamente abolita), il Gambia e la Nuova Guinea (dove non sono state registrate esecuzioni).
L’applicazione della pena di morte nei confronti di imputati minorenni
I trattati internazionali sui diritti umani proibiscono l’applicazione della pena di morte nei confronti di imputati minorenni, ovvero coloro che avevano meno di 18 anni al momento del reato. Sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici, che la Convezione americana sui diritti umani, che la Convenzione sui diritti dell’infanzia proibiscono tale pratica.
L'argomento della deterrenza
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che non esistono prove certe che la pena capitale sia un deterrente più efficace rispetto ad altre punizioni. L'indagine più recente sulla relazione tra pena capitale e tasso di omicidi, condotta dalle Nazioni Unite nel 1998 e aggiornata nel 2002, conclude che: “…non è prudente accettare l'ipotesi che la pena di morte abbia un effetto deterrente in misura marginalmente più grande che la minaccia e l'applicazione di una presunta punizione minore quale l'ergastolo.” (cfr. Roger Hood, The Death Penalty: A World-wide Perspective, Oxford, Clarendon Press, terza ed. 2002, p. 230)
Effetto dell'abolizione sul tasso di criminalità
Esaminando le relazioni tra i cambiamenti dell’uso della pena capitale e il tasso di criminalità, la stessa indagine nelle Nazioni Unite, citata nel paragrafo della deterrenza, dichiara successivamente che: “Il fatto che tutti gli elementi continuino a puntare nella stessa direzione indica una convincente prova a priori che i paesi non devono temere cambiamenti seri e improvvisi nel tasso di criminalità se riducono la loro fiducia nella pena di morte.” I dati più recenti sul tasso di criminalità nei paesi abolizionisti dimostrano che l'abolizione non ha effetti dannosi. In Canada, ad esempio, il tasso di omicidi per 100.000 persone è sceso dal valore di 3,09 nel 1975, un anno prima dell'abolizione della pena capitale per omicidio, al valore di 2,41 nel 1980 e, da allora, continua a scendere. Nel 2003, 27 anni dopo l'abolizione, il tasso di omicidi era dell'1,73 per 100.000 persone, il 44% in meno rispetto al 1975 e il valore più basso delle ultime tre decadi. Sebbene il tasso sia aumentato a 2,0 nel 2005, resta sempre un terzo più basso dal momento in cui la pena di morte è stata abolita. (cfr. Roger Hood, The Death Penalty: A World-wide Perspective, Oxford, Clarendon Press, terza ed. 2002, p. 214)
Innocenti
Ovunque la pena di morte sia applicata il rischio di mettere a morte persone innocenti non può essere eliminato. Dal 1973 in Usa sono stati rilasciati 123 prigionieri dal braccio della morte dopo che erano emerse nuove prove della loro innocenza. Di questi, sei nel 2004, due nel 2005 e uno nel 2006. Alcuni di questi prigionieri sono arrivati ad un passo dall’esecuzione dopo aver trascorso molti anni nel braccio della morte. In ognuno di questi casi sono emerse caratteristiche simili e ricorrenti: indagini poco accurate da parte della polizia, assistenza legale inadeguata, utilizzo di testimoni non affidabili e di prove o confessioni poco attendibili. Ma non solo, in Usa purtroppo sono diversi i casi di prigionieri messi a morte nonostante l’esistenza di molti dubbi sulla loro colpevolezza. La Florida ha il più alto numero di innocenti condannati a morte e in seguito rilasciati, sono ventidue dal 1973. Nel 2000, l'allora Governatore Ryan dello Stato dell'Illinois, dichiarò una moratoria sulle esecuzioni in seguito alla scarcerazione del tredicesimo prigioniero condannato a morte ingiustamente dal 1977, anno di ripresa delle esecuzioni negli Usa. Durante lo stesso periodo 12 prigionieri furono messi a morte. Nel gennaio del 2003, il Governatore Ryan ha concesso la grazia a quattro condannati a morte e commutato le restanti 167 condanne in ergastolo. Ma il problema della potenziale esecuzione di un innocente non è solo limitato agli Usa. Nel 2006, in Tanzania, è stato rilasciato Hassan Mohamed Mtepeka, condannato a morte nel 2004 per lo stupro e l’omicidio della figliastra. La Corte d’appello ha dichiarato che la sua condanna si fondava in maniera indiscutibile su prove indiziarie che “non ne indicavano con certezza assoluta la colpevolezza”. In Giamaica, Carl McHargh è stato rilasciato dal braccio della morte nel mese di giugno del 2006 dopo essere stato assolto in appello.
DA: www.amnesty.it